Nel XVI secolo, Bartolomé de Las Casas denuncia le atrocità commesse dagli spagnoli nel Nuovo Mondo, invocando la difesa dei diritti degli indigeni e il rispetto della loro dignità. Un'opera che invita alla riflessione sulla fede, la giustizia e il colonialismo.
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Nel cuore del XVI secolo, mentre l'Europa si espandeva verso orizzonti inesplorati, un frate domenicano di nome Bartolomé de Las Casas levò la sua voce contro le atrocità commesse nel Nuovo Mondo. La sua opera, "Brevissima relazione della distruzione delle Indie", pubblicata nel 1552, è un atto d'accusa vibrante e appassionato contro la brutalità dei conquistadores spagnoli.
Las Casas si rivolge direttamente all'imperatore Carlo V, descrivendolo come il "padre e pastore" dei nuovi sudditi americani. Lo implora di intervenire per porre fine ai massacri e alle crudeltà che stanno devastando le popolazioni indigene.
L'opera dipinge un quadro netto e inequivocabile: da un lato, l'innocente bontà degli indios, dall'altro, la malvagità dei conquistatori. Las Casas denuncia come l'invasione spagnola abbia tradito la missione provvidenziale della corona, che avrebbe dovuto unificare l'umanità in nome della fede cattolica e della fratellanza cristiana.
La "Brevissima relazione" è una denuncia accorata del genocidio materiale e spirituale degli indigeni americani, perpetrato da uomini avidi di oro, descritti come "lupi e tigri e leoni". Questa denuncia, forte e senza compromessi, ha reso l'opera un classico della cronachistica spagnola sull'America.
Oggi, come allora, la "Brevissima relazione" mantiene intatto il suo valore di appassionata difesa dei diritti naturali dei popoli americani. Ci ricorda il dovere morale di rispettare la dignità di ogni persona e di proteggere i più vulnerabili. Un'opera che invita alla riflessione e all'azione, per un mondo più giusto e umano.