Questo libro raccoglie saggi di Jean Améry scritti tra il 1969 e il 1978, che affrontano il tema dell'antisemitismo e il suo legame con Israele. L'autore, ebreo laico, analizza criticamente l'antisionismo, mostrando come esso sia spesso un'espressione di un antisemitismo mascherato.
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Scritti tra il 1969 e il 1978, i saggi di Jean Améry raccolti in questo volume sorprendono per la loro attualità. Nella loro concisa chiarezza e nei temi trattati, si leggono come fossero stati scritti oggi.
Améry, ebreo laico, costretto a definirsi tale dalle leggi di Norimberga, riflette anzitutto sul suo legame esistenziale con Israele. Un legame che ritiene di condividere con la stragrande maggioranza degli ebrei nel mondo, e che ha ben poco a che fare con l'approvazione incondizionata dei governi israeliani. E che si traduce tuttavia in un interesse profondamente radicato per l'esistenza di questo paese - che pur non conosce, di cui non parla la lingua e il cui folklore gli è estraneo.
Améry sa, infatti, che ogni volta che la sua vita sarà in pericolo ci sarà un lembo di terra pronto ad accoglierlo, e che finché esisterà Israele egli non potrà essere gettato di nuovo in pasto all'orrore, con il tacito consenso di spettatori più o meno consapevoli.
Parla in questi scritti il suo dolore: lui, che è sempre stato un uomo di sinistra, non riesce più a comprendere la Nuova sinistra, che vede in Israele solo un paese colonialista e imperialista. L'antisionismo, sempre più diffuso anche tra i suoi compagni politici, rappresenta ai suoi occhi soltanto il volto nuovo e presentabile di un discorso difficile da estirpare e sempre pronto a riemergere: quello dell'antisemitismo.