Il libro esplora il legame tra abito, corpo e memoria, rivelando come i tessuti e il nostro modo di vestirci siano intessuti di significati profondi, emozioni e tracce del nostro vissuto. Un'analisi pedagogica che invita a riflettere sul valore memoriale, progettuale e relazionale della materialità e immaterialità.
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"Il filo nascosto. Gli abiti come parole del nostro discorso col mondo" di Emanuela Mancino, edito da Franco Angeli, esplora il profondo rapporto esistente tra abito, corpo e memoria. Un legame indissolubile che si intreccia con il nostro modo di abitare lo spazio, di lasciare un segno, di comunicare, di esprimere noi stessi e, a volte, di tacere.
L'abito diventa una traccia trasversale, una storia da raccontare attraverso parole capaci di evocare emozioni e significati profondi. L'autrice ripercorre il filo nascosto della poetica del quotidiano, connettendo i segni linguistici delle cose a una fenomenologia sensibile dell'abito, inteso come pratica dell'abitare e del vestire con un valore intimo e personale.
Il libro ci guida attraverso trame di pensiero ed esperienze pedagogiche, rivelando la vocazione dell'orlo, la capacità di dare voce, dimora e corpo a un "senso del dar senso" invisibile ma profondamente percepibile ed educabile. I tessuti, apparentemente muti, svelano il valore memoriale, progettuale e relazionale della materialità e immaterialità pedagogica.
Attraverso fili, trame e nessi, il libro invita a un ascolto poetico e narrativo per scoprire il valore memoriale, progettuale e relazionale degli abiti, trasformando la materialità in un'esperienza pedagogica profonda e significativa.